Cos’hanno in comune tra loro l’alluvione che ha sconvolto per settimane il Veneto centrale a partire dal 31 ottobre 2010, il grande incendio che ha devastato lo stato di Victoria in Australia nel febbraio del 2009, e la crisi globale che ha investito i mercati finanziari dopo il fallimento di Lehman Brothers nel settembre del 2008? Apparentemente nulla. Ma non sempre la prima risposta è quella corretta. In effetti, a sentire gli esperti di sistemi adattivi complessi, fenomeni così apparentemente diversi rappresentano esempi di eventi estremi collegati ad una perdita improvvisa di resilienza del sistema stesso.
Vi siete persi? OK, torniamo al punto di partenza e procediamo per gradi.
Supponete di provare a studiare il comportamento di un insieme molto ampio di entità autonome ed eterogenee, che interagiscono ripetutamente in modo decentralizzato e localizzato dando vita ad un reticolo di relazioni (tipicamente non-lineari, del tipo on/off), che adattano il proprio comportamento all’ambiente circostante attraverso procedure trial and error, senza che nessuna di esse (entità) presa singolarmente sia in grado di comprendere o determinare univocamente cosa accade a livello aggregato. Bene, il sistema in questione prende il nome di sistema adattivo complesso o, a voler usare l’acronimo derivante dalla formulazione in lingua inglese, CAS.
Sostituite ora ai termini generali “entità” e “relazioni” usati finora i concetti più specifici di neuroni e sinapsi, o di formiche e feromoni, o di linfociti e recettori, o infine di banche e rapporti di credito/debito, e vi accorgerete che un cervello, un formicaio, un sistema immunitario e un sistema finanziario, nell’ordine, non sono altro che esempi di CAS. Analogamente, sotto la stessa etichetta possiamo classificare un ecosistema lacustre, una popolazione di chiropote dal naso bianco, una foresta pluviale e chi più ne ha più ne metta. L’importante è entrare nell’ottica metodologica di analizzare un fenomeno aggregato (livello macro) come emergente dalla moltitudine di interazioni e di adattamenti locali dei suoi componenti (livello micro).
In biologia, ecologia, fisica e altre hard sciences questo approccio è ampiamente usato da decenni, con risultati di assoluto rilievo. In economia – nonostante il concetto stesso di sistema complesso sia stato introdotto per la prima volta proprio da un vincitore del premio Nobel per l’economia – il suo utilizzo su larga scala è più recente, ed è stato abbracciato senza riserve solo da alcune scuole di pensiero (e molto meno da altre), anche se esistono oramai dei veri e propri classici della letteratura. È evidente quindi che gli economisti interessati a leggere il mondo che li circonda indossando gli occhiali della complessità abbiano molto da imparare dai colleghi di altre discipline in cui i CAS sono attivamente studiati da più tempo.
Una delle lezioni più interessanti che possiamo apprendere e trasportare in economia è che la capacità di un CAS di continuare a funzionare regolarmente anche se periodicamente colpito da disturbi esogeni – ciò che viene chiamata appunto resilienza del sistema – può improvvisamente venir meno. Quando ciò accade assistiamo a vere e proprie catastrofi, siano esse il completo annichilimento di un sistema immunitario o l’estinzione di una specie animale, innescate da fenomeni spesso apparentemente banali o insignificanti. E la cosa più sorprendente è scoprire che la probabilità che catastrofi di questo tipo effettivamente accadano aumenta in seguito al ripetersi di tentativi esterni di isolare il sistema dagli shock, anche i più piccoli, e dalla conseguente diminuzione di bio-diversità interna al sistema stesso.
Un resoconto di come la lotta senza quartiere agli incendi – anche i più piccoli e in zone totalmente inabitate – occorsa a partire dagli anni ’10 del secolo scorso negli USA abbia portato in realtà ad una maggiore esposizione al rischio di incendi di portata devastante delle foreste statunitensi è fornito qui, insieme ad un interessante parallelo con lo sviluppo delle politiche macroeconomiche di stabilizzazione e il conseguente insorgere periodico di crisi finanziarie sistemiche.
Molto brevemente, la storia relativa agli incendi nelle foreste è questa. La soppressione immediata (entro le 10 del mattino seguente la prima segnalazione, secondo le procedure del US Forest Service) di tutti gli incendi di limitata entità prepara il terreno affinché l’intera foresta possa prima o poi essere colpita da un incendio di dimensione devastanti attraverso tre meccanismi legati tra loro. Il primo è dato dal fatto che i piccoli incendi garantiscono che la quantità di materiale combustile di piccola taglia (rami secchi caduti a terra, foglie, etc.) disperso all’interno della foresta non superi mai una certa quantità. L’idea di non permettere in nessun caso incendi, anche se facilmente controllabili, garantisce di fatto un continuo accumulo di carburante immediatamente disponibile qualora l’incendio acquisisse una scala tale da andare fuori controllo. Secondo, quando all’interno di una foresta secolare gli incendi vengono sistematicamente repressi sul nascere, si genera artificialmente un vantaggio selettivo a favore delle specie arboree meno resistenti al fuoco. La conseguente diminuzione di bio-diversità contribuisce ancora una volta a determinare una situazione ideale alla propagazione di un incendio nel caso in cui quest’ultimo superi la soglia della controllabilità immediata. Terzo, una foresta interessata periodicamente da incendi di taglia limitata si auto-organizza in appezzamenti omogenei di alberi giovani (proprio nelle zone colpite da incendi) alternati ad appezzamenti omogenei ma più sparsi di alberi anziani. Ciò limita la connettività all’interno del sistema, e inibisce la propagazione del fuoco su zone eccessivamente ampie.
Riassumendo, un CAS è al tempo stesso robusto e fragile: robusto, nel senso che in condizioni normali può sopportare shock senza che il funzionamento del sistema sia danneggiato in maniera irreparabile; fragile, nel senso che la sua evoluzione interna può far sì che ad un certo punto un evento anche piccolo sia in grado di portare il sistema alla paralisi totale, o alla sua scomparsa. Tentativi esterni di aumentare la robustezza ne aumentano la fragilità, attraverso una diminuzione della bio-diversità e un aumento della connettività. Altri esempi illuminanti li trovate qui, qui e qui.
Provate ora ad applicare il modello ad un sistema finanziario, composto da un elevato numero di soggetti tra loro eterogenei – banche commerciali con modelli di business diversi, compagnie assicurative, fondi mobiliari, hedge funds, fondi di private equity, etc. – collegati tra loro da un fitto reticolo di interazioni (rapporti di debito/credito). Abbiamo a questo punto a disposizione un potente framework interpretativo con il quale fare ragionamenti sugli interventi di salvataggio da parte del settore pubblico e la conseguente socializzazione delle perdite (con relativa privatizzazione dei profitti), sul tema del too-big-too-fail, sulle catene di fallimenti provocate da eventi di per sé quasi insignificanti (tipo la crisi del settore dei mutui sub-prime sul mercato immobiliare USA), sui meccanismi di propagazione e sulle strategie di limitazione del contagio, e così via. Segnalo come lettura introduttiva questo formidabile pezzo di Andrew Haldane, Executive Director for Financial Stability della Bank of England. Nei prossimi post comincerò ad elaborare sul tema. Stay tuned.